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ChatGPT: la rivoluzione per i social e la comunicazione?

30 novembre 2022, una data che segnerà un cambiamento epocale? Forse. È la data di uscita ufficiale di ChatGPT, il software di AI di cui tutti parlano, ma quale sarà l’impatto che questo strumento avrà sulla vita di tutti i giorni? Il nuovo software di intelligenza artificiale cambierà davvero il modo in cui i consumatori approcceranno ai brand? Come si colloca ChatGPT nel mondo della comunicazione social-first?

Ne parliamo con Paola Nannelli, Executive Director per l’Italia di Pulse Advertising, a ruota libera ci racconta il suo punto di vista tra ChatGPT e influencer marketing.

La creatività dei contenuti è messa alla prova dall’AI o ne costituisce un valore aggiunto?

Partiamo da un confronto, nel 2022 il trend di questo periodo era il Metaverso: ancora se ne parla, perché porta con sé una variabile non da poco: qual è il suo impatto nella vita reale o nel business? Purtroppo ancora molto poco tangibile dal consumatore finale. Viceversa, il fenomeno ChatGPT è meglio percepito, vediamola con i numeri:

  • TikTok arriva a 100 milioni di utenti in 9 mesi,
  • Instagram arriva a 100 milioni di utenti in 2 anni e mezzo,
  • ChatGPT arriva a 100 milioni di utenti in 2 mesi . A gennaio 2023, registra già 57 milioni di utenti.

Direi che i numeri parlano chiaro, non si tratta di un trend bensì di una rivoluzione, che avrà sicuramente un forte impatto tra gli addetti ai lavori e anche sull’utente finale. La differenza sostanziale con il Metaverso è il percepito sulla vita reale e l’impatto che questo strumento ha nelle attività quotidiane.

Andando ad approfondire, ci sono stati alcuni esperimenti interessanti che danno prova delle potenzialità dello strumento.

Quando McKinsey chiede a ChatGPT di scrivere un articolo con il tone of voice di McKinsey il risultato è stato definito “sbalorditivo”.

Questo strumento parte dal deep learning“, significa che la macchina va prima di tutto istruita, maggiore è la quantità di dati analizzati e registrati più la macchina sarà intelligente. Ed è qui il confine più delicato, ci sarà sicuramente un impatto: i lavori ad alta manovalanza potranno risentirne con la conseguente perdita di posti di lavoro.

Potrà la macchina sostituire l’uomo? Probabilmente no, un esempio su tutti: l’intelligenza artificiale macina tutte le tipologie di testi, anche quelle con contenuti sensibili (ad esempio, quelli che incitano all’odio, al razzismo, alla pornografia ecc). Si solleva un problema, ripulire i contenuti di ChatGPT dal linguaggio tossico.

Un’attività di cui si occupano team di esseri umani che clusterizzano tutti i contenuti che sono “alerting per la rete”. Ci apre gli occhi, un’inchiesta del Time che racconta a quale “prezzo” viene fatta la pulizia dei dataset da parte di Sama. Sama, è un’azienda californiana che appalta lavoratori in Kenya, Uganda e India per le big tech: i lavoratori kenioti sono pagati tra 1,32$  e  2$ all’ora, con violente conseguenze dal punto di vista psicologico.

Un’altra riflessione sempre sullo stesso punto. ChatGPT è una grande potenzialità che può rendere competitive, in termini di produttività, le aree con un input creativo più basso, ma certamente com’è strutturato oggi non è pronto per sostituirsi totalmente alla creatività umana. L’impatto certamente ci sarà, a tendere probabilmente le realtà più piccole che si occupano di service (es: servizio di traduzione di testi) potranno essere ridimensionate da questo strumento.

Chi non potrà essere sostituito? Chi dà un valore aggiunto, chi si occupa di tutte quelle attività in cui la capacità critica, propria dell’essere umano, è imprescindibile.

Un’altra grande incognita è legata alla tipologia dei contenuti, oggi la rete passa maggiormente tutto ciò che è video dai Reels ai TikTok; come ChatGPT farà fronte a questo tipo di intrattenimento? Vero è, che l’integrazione tra diverse piattaforme è una strada seguita dalla piattaforma, basta pensare all’elenco di integrazioni tramite plugin che sono state recentemente implementate. Una su tutte Klarna, molto utilizzata nell’ambito influencer marketing per il pagamento a rate dei prodotti, rappresenta un esempio di quale può essere l’impatto reale sulla vita di tutti i giorni per l’utente finale.

Riflettiamo ancora… sarà ChatGPT in grado di costruire uno storytelling di brand da zero? Sarà in grado di esplodere la big idea delle campagne di comunicazione? Se è stato semplice costruire un articolo con il tone of voice di McKinsey, è perché sono presenti da anni contenuti “alla McKinsey”. Cosa succederà quando si dovrà creare qualcosa di nuovo? ChatGPT non inventa nulla, semplicemente crea e adatta contenuti esistenti, generandone di nuovi a seconda del prompt che gli viene dato. Quindi sì, lo storytelling di brand ancora è campo di sfida per l’intelligenza umana.

I virtual influencer, guidati dall’AI, saranno l’evoluzione della figura tradizionale dell’influencer?

Un contenuto social funziona meglio di una pubblicità e ci sono 3 motivi per cui generalmente accade: il contenuto social è nativo, spontaneo e vero. Come può inserirsi in questo un virtual influencer? Un influencer virtuale per sua natura fatica ad avere tali requisiti, i casi di successo – come Noonoouri per il mondo del fashion – sono semplici hook di comunicazione.

Quello che si vede oggi online, non è semplicemente l’influencer per il settore che rappresenta, ma sopratutto per la vita privata e quella reale “offline”: gli eventi a cui partecipa, l’attività quotidiana che è solito fare. Su queste diverse variabili di contenuti proposti, si basa il trust tra l’influencer e la sua community, e da qui il riflesso per i brand. Funziona molto di più un contenuto creato da una persona reale che uno di un account di brand, nel primo caso il valore aggiunto è proprio l‘empatia tra l’influencer e i suoi follower fatta dal tone of voice, dal fatto di essere reale e di saper raccontare le sue esperienze.

Il virtual influencer  può funzionare se associato ad una nicchia di servizio: un esempio, un virtual influencer con input di domanda chiari può essere un valido supporto per i consigli di stile e/o legati all’armocromia.

Torniamo a ChatGPT e chiediamo cosa ne pensa dell’influencer marketing…

Perché l’influencer marketing spesso non è considerato nei percorsi di comunicazione e marketing dei brand?

Ecco le 5 risposte:

  1. Mancanza di conoscenza e competenza: l’influencer marketing è una forma di marketing relativamente nuova, e molte aziende potrebbero non avere il know-how necessario per implementarlo efficacemente.
  2. Percezione di bassa credibilità: alcuni brand potrebbero vedere. l’influencer marketing come un’attività poco trasparente o poco autentica, poiché gli influencer sono spesso retribuiti per promuovere i prodotti.
  3. Difficoltà nel trovare l’influencer giusto: trovare un influencer che sia in linea con i valori del brand e che abbia un pubblico che corrisponde al target potrebbe essere un processo lungo e costoso.
  4. Rischio di reputazione: se un’azienda sceglie di collaborare con un influencer che in seguito si rivela controverso o poco affidabile, ciò potrebbe danneggiare la reputazione del brand.
  5. Difficoltà di misurare i risultati: determinare l’efficacia di una campagna di influencer marketing può essere difficile, poiché non esiste un metodo standardizzato per misurare l’engagement e l’impatto delle attività.

(Fonte ChatGPT, 24.03.2023)

ChatGPT sta analizzando le informazioni presenti online, giustamente restituisce i dubbi delle aziende, che si aprono all’influencer marketing. In generale, l’IM è ancora molto dibattuto: la questione è legata alle strutture e ai processi d’impresa: ci sono aziende che per natura hanno tempi di elaborazione e reattività al cambiamento molto lunghi.

Più che mancanza di adattabilità possiamo però parlare di una forte resistenza da parte delle aziende, dovuta ad un contesto lento. Le aziende più piccole e flessibili hanno reagito meglio al cambiamento, avviando subito progetti di influencer marketing, ma le aziende più strutturate faticano ad aprirsi rapidamente.

L’attenzione qui sta nel trovare il “balance” giusto e capire quando si ha l’opportunità di aprirsi ad un mercato, adattandone la struttura e ad aprendo divisioni con funzioni preposte ad hoc.

Un caro grazie a Paola Nannelli per l’approfondimento e le riflessioni a cui gli esempi riportati ci invitano a fare. Quale sarà il futuro della comunicazione social-first?


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