Durante il primo lockdown viaggiare non era soltanto un sogno, era illegale. Chi si é spostato nonostante i divieti ha suscitato scandalo. La speranza che lo stop al turismo potesse quanto meno portare vantaggi dal punto di vista climatico, si è rivelata più vuota dei cieli senza aerei. Il Covid19 ha certamente cambiato la nostra prospettiva rispetto al viaggiare, rendendolo a tratti una questione morale.
Ma nonostante l’ansia generale, l’anno scorso molte nazioni hanno deciso di allentare il lockdown proprio con l’arrivo delle vacanze estive. Da un lato molti hanno preferito evitare di prendere aerei e hanno optato per una staycation, tanto che a metà Agosto 2020 il numero di voli è stato circa il 47% in meno rispetto all’anno precedente.
D’altro canto, migliaia di persone si sono comunque imbarcate per fare le vacanze all’estero, per poi ritrovarsi con una bella sorpresa al rientro: la quarantena obbligatoria. Ma questo non è accaduto solo in Italia.
Infatti, a metà agosto 2020 160mila vacanzieri britannici si trovavano ancora in Costa Azzurra quando il governo inglese ha deciso di imporre la quarantena obbligatoria a tutti coloro che fossero rientrati dalla Francia. Il 22 Agosto Croazia, Austria, Trinidad e Tobago furono aggiunte alla lista della quarantena, seguite da Svizzera, Giamaica e Repubblica Ceca, causando confusione e panico.
L’aver permesso – quasi incoraggiato – viaggi internazionali per poi imporre corse al rientro o improvvise quarantene obbligatorie ha creato un grande scompiglio a livello internazionale.
Molti temevano che l’eccessivo rimestio di persone potesse portare ad un successivo lockdown autunnale…e così è stato causando una serie di polemiche infinita, tanto che il flight shaming è diventato uno sport ufficiale in Svezia e il vacation-shaming negli Stati Uniti.
L’idea dello Smart Visto
In mezzo a questo panico e stizza generale, le Barbados sono state le prime a proporre un nuovo punto di vista lanciando il Barbados Welcome Stamp, un visto che consente ai viaggiatori di rimanere sul territorio per un anno interno in smart working.
Il primo Ministro Mia Mottley ha spiegato che, tra test e potenziali quarantene, il Covid ha reso i viaggi a breve durata praticamente impossibili. Ma l’impatto di queste pratiche diventa meno problematico se il viaggio si prolunga per qualche mese e se puoi lavorare anche mentre sei in quarantena con vista mare.
Questo trend ha velocemente contagiato altre nazioni come le Bermuda, l’Estonia e la Georgia che hanno lanciato a loro volta i loro visti smart workers friendly.
A distanza di 6 mesi, questo concetto sta approdando anche in Italia. La settimana scorsa infatti Courmayeur, nota località montana, si è ufficialmente candidata a meta per il lavoro agile. Puntando sulle buone connessioni con gli aeroporti, la storia di ospitalità, la possibilità di fare tante attività all’aria aperta sia in estate che in inverno, e nondimeno la fibra e la copertura 5G, Courmayeur si propone a tutti gli smart workers come alternativa eco alla vita di città.
È facile pensare che queste nuove tendenze possano cambiare non solo il nostro modo di lavorare e di viaggiare, ma anche il modo in cui pensiamo al concetto di cittadinanza.
Nomadi Digitali
Questo approccio ai visti e alle frontiere può sembrare una novità, ma in realtà è un concetto che esiste già da tempo. I nomadi digitali – spesso millennials impegnati in lavori come l’e-commerce, il copywriting o il design – lavorano in paradisi esotici già da una decina di anni.
Secondo una ricerca, nel 2015 i nomadi digitali erano già una nicchia crescente, ma il Covid19 ha dato una spinta a questo trend e la linea che separa questa categoria dagli smart workers si assottiglia sempre più, soprattutto considerando che il lavoro agile sembra non essere solo di passaggio.
Prima del covid, il lavoro d’ufficio veniva concepito appunto solo in ufficio e la possibilità di viaggiare era un privilegio riservato ai manager e a pochi nomadi digitali. Ma dall’inizio della pandemia, molti hanno avuto la possibilità di lavorare da remoto, affacciandosi così agli oneri e agli onori del lifestyle dei nomadi digitali.
Un giapponese l’aveva previsto
L’idea che le destinazioni turistiche possano trasformarsi in mete per il lavoro agile risale al 1997. Infatti, il tecnologo giapponese Tsugio Makimoto aveva predetto il fenomeno dei nomadi digitali decenni prima che i millennials cominciassero ad instagrammarsi col proprio laptop a Bali o in qualche altro paradiso tropicale.
Nel suo libro Makimoto sostiene che ad un certo punto le nazioni si troveranno a dover lottare per poter trattenere i propri cittadini ed attrarne di nuovi. Prima dell’arrivo del Covid19, questa profezia poteva sembrare piuttosto stravagante, ma oggi che sta diventando realtà è bene cominciare a pensare alle possibili conseguenze di questo nuovo status quo.
Ad esempio, i piccoli business locali beneficerebbero più della presenza dei nuovi visitatori a medio termine, oppure per loro sarebbe meglio continuare ad ospitare orde di turisti soltanto nei momenti clou dell’anno? Come cambierà il mercato dell’hospitality? Può essere che un flusso costante di smart workers crei delle bolle nel mercato delle accomodation come Airbnb rendendo troppo costosi gli affitti per gli autoctoni.
Dipende tutto dai datori di lavoro
Ma la vera domanda è: cosa ne pensano i datori di lavoro di tutto ciò? Permetteranno ai propri impiegati di cambiare nazione a piacimento?
Potrà sembrare inverosimile, ma lo staff di aziende come Google, FaceBook e Salesforce ha già il permesso di lavorare da remoto fino all’estate del 2021. Mentre Twitter e altre 17 aziende hanno annunciato che i proprio impiegati potranno lavorare da remoto per sempre.
Durante la conferenza di Microsoft “The New Future of Work” le più grandi aziende al mondo hanno annunciato il lancio di nuove policy per gli smart workers. Se queste aziende decideranno di dare la possibilità ai propri impiegati di cambiare nazione a piacimento, potreste presto ritrovarvi a prenotare una work-anza anziché una vacanza.
A cura di Alessadra Bonini