Quello della Privacy è sicuramente uno degli argomenti centrali della nostra epoca. Quante volte ci capita di ricevere email indesiderate? Spesso contenenti la pubblicità di un prodotto che vorremmo acquistare, ma di cui non avevamo parlato o fatto ricerca?

La sensazione è quella di essere spiati da un lato, e bombardarti di informazioni dall’altro. Da tempo gli utenti chiedono più trasparenza e più controllo sulla loro privacy. In questo articolo vedremo come le Big Tech stanno rispondendo a tale domanda, settando così nuove regole per l’ormai essenziale mercato digitale.

I pixel invisibili

Cominciamo analizzando il problema da un punto di vista tecnico: come vengono tracciati i nostri dati? Attraverso i pixel invisibili.

I pixel invisibili, anche detti di tracciamento, hanno lo scopo di tracciare l’apertura di ogni messaggio e corrispondono solitamente a un’immagine trasparente e impercettibile (delle dimensioni per l’appunto di 1 x 1 pixel) che viene inserita all’interno di un’email con l’obiettivo di ricavare informazioni e dati importanti relativi alla sua apertura.

Il processo con cui avviene tale tracciamento è il seguente: non appena il destinatario apre il messaggio, parte in automatico una richiesta ad un server remoto per scaricare questa immagine invisibile, dando la possibilità al mittente di identificare l’utente che ha dato il via all’attività, l’IP di provenienza e il momento in cui è avvenuta.

I pixel invisibili consentono dunque al mittente di determinare quando gli utenti aprono i loro messaggi, di vedere i loro indirizzi IP e dunque di collegare utilizzare questi dati per le loro attività online, specie quelle di marketing.

Privacy e pixel invisibili

Privacy First

Ora che abbiamo individuato la sorgente del problema pare evidente anche la soluzione: bloccare il tracciamento delle aperture. La prima ad introdurre questo concetto è stata Microsoft con i client Outlook, quando ha deciso di disabilitare di default le immagini portando gli utenti a dover cliccare per abilitarne la visualizzazione.

Quello che allora era sembrato come “la fine delle aperture” ha portato i marketer a creare messaggi più sofisticati e i destinatari a disabilitare il blocco delle immagini di default.

Poi è stata la volta di Google e Yahoo! con il caching delle immagini. Fortunatamente, anche se le immagini venivano scaricate dal proxy del provider e non dal destinatario finale – facendo scattare qualche apertura fittizia ogni tanto – non era intenzione di questi provider impedire al mittente di accedere a informazioni sull’apertura, ma semplicemente “mascherare” quest’ultima utilizzando un IP e un useragent del provider e non del destinatario.

Infine, durante l’ultima Worldwide Developer Conference Apple ha annunciato una nuova funzionalità dell’applicazione Mail di Apple a cui potranno avere accesso tutti gli utenti del brand con l’aggiornamento dei sistemi operativi iOS e macOS.

Tale funzionalità implementa diverse limitazioni alla quantità di dati che si possono raccogliere sugli utenti tramite email. In particolare, impedirà ai mittenti di utilizzare i pixel invisibili per determinare quando gli utenti aprono i loro messaggi e nasconderà i loro indirizzi IP rendendo impossibile determinare la posizione di un utente ed utilizzare i dati per attività di marketing.

L’annuncio ha innescato subito un acceso dibattito sulle possibili conseguenze di questa scelta sul futuro delle attività di tracciamento via email e delle strategie data-driven.

L’iniziativa di Apple si colloca in un più ampio tentativo da parte di diversi provider di fornire ai loro utenti un maggiore controllo sulla propria privacy, cosa che è fondamentalmente corretta e assolutamente in linea con l’evoluzione della privacy-awareness dei giorni nostri.

Controllare la propria privacy

Conseguenze per i marketer

Il primo e più evidente impatto dell’introduzione della Mail Privacy Protection è su una delle metriche dell’Email Marketing più discusse, ma anche più utilizzata, dai marketer: l’open rate. Vediamo perché:

1. Danni alla reputazione del mittente e alla capacità di recapito dei messaggi

Comunque sia, eliminare un “data point” complica la vita ai marketer che vogliono avere quante più informazioni possibili per declinare la propria strategia.

Se da un lato possiamo “ringraziare” Apple perché con questa mossa aiuterà i marketer a prendere in considerazione metriche più interessanti e più direttamente collegate al ROI, dall’altro lato si assisterà  molto probabilmente a un aumento del numero di email inviate, venendo meno ad alcune regole sul tasso di engagement che tipicamente determinano la frequenza di invio.

Questo potrebbe avere di conseguenza impatti sulla reputazione del mittente e sul recapito dei messaggi. Sarà quindi fondamentale per i marketer confrontarsi con il proprio Email Service Provider per considerare nel modo opportuno tutte le variabili e identificare la strategia migliore per evitare danni alla propria reputazione nei mesi successivi.

2. Perdita di informazioni utili agli algoritmi

Ma le aperture servono anche agli Email Service Provider più diligenti, per intercettare i clienti che fanno registrare tassi di aperture molto bassi e verificare che non siano in violazione dei termini d’uso.

Anche se non è il segnale più importante, toglierlo vorrebbe dire perdere delle informazioni importanti e dover ritarare gli algoritmi di conseguenza.

3. Minor pulizia e qualità del database

Questa modifica comporta anche un’altro problema: un impatto sugli algoritmi di engagement e sulla distinzione tra destinatari attivi e inattivi.

I principali mailbox provider, consigliano da sempre di tenere “pulita” la propria lista contatti, disiscrivendo quelli  inattivi per evitare di continuare ad inviare email che possano deteriorare alla lunga la propria reputazione.

Conseguenze per i consumatori

Ma alla fine, è giusto dirlo, ai destinatari finali non è mai importato nulla del pixel di tracciamento. Ai destinatari interessa che il contenuto del messaggio risponda a un loro bisogno, e i marketer devono prendere spunto da questo per focalizzarsi sulla rilevanza del messaggio e misurare le metriche che contano davvero in termini di crescita e ricavi per il business (nessuno guadagna sull’open rate).

Email overload

Inoltre, questa mossa di Apple può diventare persino un assist ad abbattere i silos che ancora permangono tra metriche on-mail e metriche off-mail (pagine viste, conversioni, acquisti, revenue): oggi più che mai c’è bisogno di migliorare la sincronizzazione di questi due mondi per garantire la loro piena integrazione.

I consigli per gestire l’anti-tracciamento

In attesa di capire cosa ci aspetterà davvero a partire da settembre ecco qualche consiglio per aiutarti a riflettere e valutare le tue strategie:

  • inizia a mappare gli utenti inattivi e valuta campagne di re-engagement per farli ritornare attivi oppure disiscriverli definitivamente;
  • dai più peso ad altri indicatori rispetto alle aperture;
  • se utilizzi gli A/B test per determinare l’efficacia di un oggetto, questi potrebbero non funzionare più. Sarà necessario testare fin da subito nuovi indicatori per capire gli impatti negli A/B test;
  • se stai utilizzando le aperture per regolare la frequenza di invio, come indicatore principale per determinare i destinatari attivi della tua lista o per fare pulizia della lista stessa potresti trovarti con più destinatari del previsto.

A cura di Alessandra Bonini.

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